Partecipazione e cambiamento, la sfida di Soru: «L’aritmetica non mi interessa, abbiamo un progetto politico. Riportiamo i sardi a votare»

«Nessun accordo con il PSD’Az, la candidatura di Alessandra Todde imposta dal M5S che ha consegnato l’Italia alla destra. In Sardegna da troppi anni lo stesso sistema di potere. Puntiamo a costruire un progetto che possa cambiare la prospettiva della Sardegna per il futuro. Oggi in tanti non vanno a votare perché non si sentono più rappresentati.» Renato Soru è intervenuto questa mattina ai microfoni di Extralive per commentare la recente scelta dei Progressisti di abbandonare la coalizione sarda, fare il punto sulla corsa per le regionali e rispondere ai messaggi degli ascoltatori.

La prima domanda non può essere che sulla scelta dei Progressisti di rientrare nel Campo Largo. Quanto l’ha colpita e quanto peserà sulla campagna elettorale?

La scelta dei Progressisti di rientrare nel Campo Largo mi ha colpito e amareggiato, ci eravamo dati affidamenti diversi. Loro hanno fatto una scelta e per me ora è passato. Guardo al prosieguo della campagna elettorale che portiamo avanti con più forza, impegno e maggior determinazione.

Quanti incontri ha fatto in questi due mesi?

Vado verso i cinquanta. Sono stati tutti incontri pubblici, trasmessi in streaming, ai quali hanno sempre partecipato delle comunità locali, ma con l’opportunità di allargare all’intera comunità regionale.

Quale fotografia di Sardegna emerge da questo giro di ricognizione sul campo e di ascolto dei problemi della gente?

Come possiamo immaginare, in ogni paese, in ogni città, su ogni argomento, le persone ci riportano le difficoltà di una politica regionale che ha trascurato il dialogo con i cittadini.

La fotografia è quella di un governo regionale che ha lasciato andare i problemi della Sardegna. La Sardegna oggi è una regione non governata, lasciata a se stessa. Naturalmente questo ha portato a una situazione gravissima. Incontro quindi una Sardegna sfiduciata, in difficoltà, spesso quasi rassegnata rispetto alle possibilità del futuro. Però poi il dialogo aiuta a superare questi momenti e e me ne vado sempre confortato dal vedere che c’è la possibilità di reagire, che c’è una forza interiore che può essere richiamata, che c’è comunque una coscienza civile sotto la cenere. In Sardegna, insomma, c’è una comunità che vuole ripartire e alla quale cerchiamo di offrire una possibilità di ripartire insieme.

Una costante di questi incontri mi sembra essere la presenza dei giovani: ne abbiamo seguito uno molto bello qui all’Exma con giovani sardi che lavorano in giro per il mondo, ieri c’era un incontro sul cinema, che negli ultimi vent’anni è davvero cresciuto grazie a una legge che fu approvata all’inizio degli anni 2000 proprio dalla sua giunta. Ci sono anche dei segnali confortanti che emergono da questi incontri?

Sì, la buona politica non produce solamente finanziarie e assestamenti alla legge finanziaria, produce soprattutto leggi, leggi buone: e le leggi buone lasciano il segno per un lungo periodo, per lungo tempo tracciano delle strade che poi anche altri possono percorrere per il futuro.

La legge del 2006 è stata una legge che fu molto, molto discussa, molto partecipata. Ci fu un confronto aperto con con tutta la piccola comunità che allora si occupava di cinema. In seguito a questa nacque la Film Commission. Oggi c’è una comunità, qualcuno dice trecento, qualcuno dice cinquecento persone che fanno cinema in Sardegna, vivono di questo, lo fanno professionalmente. È una comunità che continua a crescere e che potrà continuare a crescere perché la Sardegna è una regione creativa. Ci sono dei talenti musicali, dei talenti nell’audiovisivo, nella scrittura, nella sceneggiatura. E il futuro si giocherà molto anche su questo: sulla creatività, non solo sull’innovazione. Innovazione e creatività vanno di pari passo.

Stanno arrivando diversi messaggi al nostro numero 3792968968 e molti sono ovviamente riferiti ai temi politici che sono quelli che forse in questo momento stanno incuriosendo di più i nostri radioascoltatori. Tantissimi chiedono al presidente Soru di raccontare o di smentire un possibile accordo con il PSD’Az.

Noi siamo, e l’ho già detto con molta chiarezza, totalmente alternativi a questo governo di destra e ci comporteremo di conseguenza. Siamo alternativi a questo governo di destra e siamo interessati a far nascere anche per il futuro una coalizione o (preferibilmente in futuro, col tempo necessario) un partito sul modello del partito valdostano o sul modello del partito del Sudtirolo e cioè dei partiti nazionalitari che possono raccogliere la maggioranza nelle regioni autonome in cui in cui operano.

In Sardegna, diversamente da queste regioni che ho citato, ma diversamente anche da altre regioni europee, ripetiamo pedissequamente gli schemi nazionali: mi pare che non ci stiano portando molto lontano. Ci stanno portando a subire delle imposizioni romane, ci hanno portato a una radicalizzazione, quasi pietrificazione degli schemi politici.

È ora di cambiare, di cambiare modello, di mettere al centro la Sardegna e non gli interessi nazionali, di mettere al centro, in questo caso le elezioni regionali della Sardegna e non le elezioni politiche nazionali e di mettere al centro i bisogni e gli interessi dei sardi. Nient’altro. Di queste elezioni stiamo parlando e questo è il nostro orizzonte, quello che intendo fare. E ripeto, non sono interessato a mantenere lo stesso sistema di potere in Sardegna che abbiamo visto da da troppi anni semplicemente cambiare le persone al potere, ma mantenendo lo stesso modello, gli stessi schemi, gli stessi comportamenti e qualche volta persino le stesse scelte, le stesse decisioni.

Non mi interessa cambiare il nome delle persone al potere. Mi interessa cambiare la Sardegna. Mi interessa cambiare lo stato delle cose. Mi interessa cambiare la prospettiva della Sardegna per il futuro.

Questo tranquillizzerà i nostri ascoltatori perché il PSD’Az negli ultimi anni di sardo identitario ha avuto ben poco.

Il Partito Sardo D’Azione, è vero, ha avuto negli ultimi quindici anni una linea politica pessima. Ma è anche un partito che ha una tradizione, è nato a sinistra e che ha una storia diversa. Io mi chiedo se a qualcuno non non venga il dubbio. Il ricordo più recente, di non troppi anni fa, di quando il M5S considerava il PD un partito di delinquenti, un partito che abusava e faceva mercato dei bambini a Bibbiano. Il M5S era un partito che governava con la destra peggiore di Salvini. Era un partito che si è reso responsabile dei respingimenti nel Mediterraneo, di azioni contrarie a un minimo senso di umanità. Questo è il partito 5 Stelle ed è un partito oggi, magari qualcuno non l’ha notato, che è passato in breve tempo dal motto “uno vale uno”, dalle consultazioni online su tutto a una totale assenza di democrazia. Conte per un giro di valzer, per una casualità della sorte e si è trovato in un certo momento a conquistare il potere dentro i Cinque Stelle e lo esercita quasi manu militari. Non c’è nessun nessun organismo democratico: ha nominato fino all’ultima carica di quel partito, ha nominato ogni ogni parlamentare, ogni coordinatore regionale, ha nominato ogni membro dell’assemblea nazionale e pretende anche di nominare il presidente della Regione Sardegna.

Io credo che sia doveroso ribellarci a questo. I sardi meritano altro che l’imposizione di Giuseppe Conte per la Sardegna e mi dispiace che il PD, mi sconcerta che il PD sia andato dietro alle posizioni di Giuseppe Conte.

Soru ci ha riportato sul tema più caldo, cioè questa fusione a freddo tra due mondi che molto difficili da conciliare, come quello dei Cinque Stelle e quello del PD. Quando ci siamo sentiti l’ultima volta con Soru qui su Radio X era la vigilia di quell’incontro a Palazzo Doglio nel quale lui annunciò di fatto la sua uscita dal PD. Cosa è successo in questi due mesi di campagna elettorale parallela? E, se esistono, quali potrebbero essere gli elementi di convergenza per una ricomposizione ipotetica di questo campo?

Io non faccio tattica, non conto i possibili consiglieri regionali eletti o le cariche per il futuro.

Ho dei convincimenti politici profondi: il futuro dell’Italia non è quello che ci hanno indicato fino adesso i Cinque Stelle e che con totale inaffidabilità potrebbero indicarci per il futuro. Per i Cinque Stelle, si è già capito, li abbiamo visti, non contano le parole ma le azioni. Loro hanno preparato il terreno politico per la destra, una cultura di destra e d’Italia che ha portato alla vittoria di Giorgia Meloni. Persino nel confronto politico con il PD di Enrico Letta di appena un anno fa, davanti a uno schema elettorale che avrebbe premiato gli accordi, le alleanze nei nei territori, hanno deciso di stare da soli, di far vincere Giorgia Meloni e di consegnare la politica nazionale alla destra, alla destra in Italia e con le conseguenze europee di comportamenti anche antieuropei, come abbiamo visto nelle recenti votazioni. Un anno fa hanno consegnato l’Italia a Giorgia Meloni: loro, non altri. E ora vengono a dire a noi che dobbiamo stare attenti a non favorire la destra in Sardegna. Noi non abbiamo elezioni politiche in Sardegna adesso: abbiamo le le elezioni per dare un buon governo alla nostra regione, per governare bene e risolvere i problemi di oggi, le emergenze e immaginare un futuro con coerenza rispetto alle cose che abbiamo sempre detto.

Gli ascoltatori esprimono molta preoccupazione sui numeri e sul fatto che con due candidati di area centrosinistra sarà difficile vincere le elezioni, e quindi si rischia di riconsegnare la regione alla destra.

Io contesto questa lettura. Forse abbiamo la memoria troppo corta. Alessandra Todde non è un candidato di centrosinistra, è un candidato imposto dai grillini e i grillini sono quelli che hanno governato con la destra, con Salvini, hanno fatto politiche pesantissime di destra, politiche contro il minimo senso di umanità nel Mediterraneo e hanno contribuito a costruire una cultura di destra che ha fatto vincere Meloni. La nostra memoria è troppo corta: solo un anno fa i grillini hanno preferito, pur in presenza di una legge elettorale molto chiara, non fare alleanze nei territori con il Partito Democratico ben sapendo come sarebbe andata a finire.

Hanno permesso una maggioranza di destra del Parlamento italiano. Loro hanno consegnato il Paese in mano a Giorgia Meloni e a Salvini. Questi sono i grillini. Per me non sono altro e io non voglio consegnare la Sardegna a loro. E voglio, se è possibile, dare un segnale. Dimostrare che c’è una prospettiva politica diversa, magari più faticosa, che va spiegata, che va chiarita, testimoniata agli elettori. Magari è anche un percorso un po’ più lungo, ma è l’unico percorso sano se davvero si vuole cambiare la politica nazionale, immaginare davvero un’Italia di centrosinistra, e se davvero si vogliono superare i problemi della Sardegna di oggi, farla uscire da questo ritardo di sviluppo, immaginare un futuro. L’alternativa è solamente farla galleggiare un altro po’ con una bandiera diversa. Ma è lo stesso galleggiamento, lo stesso inefficacia, la stessa assenza di prospettive. Io ho un orizzonte più ambizioso.

Ha raccontato questa stessa visione alla segretaria del PD Elly Schlein? Cosa ha risposto di fronte a queste critiche nei confronti dei Cinque Stelle?

C’è qualcuno che preferisce fare aritmetica, sommare i numeri. Io preferisco costruire una prospettiva politica per oggi e per il domani.

La parola magica è partecipazione: più gente andrà alle elezioni a votare, più i cittadini, magari i giovani si prenderanno la responsabilità di esprimere la loro opinione attraverso il voto e più facile sarà dare vita a questo cambiamento. E non è casuale che infatti il sistema politico attuale abbia fatto di tutto per non fare andare i sardi a votare due giorni. Quanto è importante la partecipazione al voto? E lei crede che ci sarà un’inversione di rotta a queste elezioni anche grazie al suo contributo?

Quello che ha appena detto è veramente importante e merita di essere sottolineato: si cerca di cancellare in ogni occasione la partecipazione delle persone.

La partecipazione al voto il 25 febbraio e anche la partecipazione nelle scelte democratiche più importanti della politica regionale. Nel centrosinistra ci eravamo abituati. Ci siamo anche abituati recentemente, che le scelte importanti per le posizioni apicali, quelle capaci di determinare e di guidare una politica, dovessero essere affidate agli elettori e ai simpatizzanti.

E anche qui abbiamo visto come recentemente una scelta più partecipata, una scelta più democratica è stata negata per la candidatura alle regionali. Però c’è un dato interessante: intanto oltre il cinquanta per cento delle persone rifiuta questa modalità, e quindi non va a votare. Non va a votare se non gli viene dato un motivo, se è talmente disincantata da questa politica che preferisce non andare a votare.

E poi c’è un altro dato: tra quelli che vanno a votare, (è emerso anche in una statistica presentata dai giornali nazionali qualche giorno fa) due persone su tre, due elettori o elettrici su tre sono disponibili a cambiare l’orientamento di voto. Non votano più secondo le ideologie, nemmeno secondo le appartenenze di una vita. Votano oggi sulla base di un programma e di una persona, di quello che viene spiegato e della affidabilità che una persona trasmette.

Io credo che con una certa fatica, ma con un un lavoro minuzioso e persino entusiasmante, stiamo entrando nel merito delle cose, parlando di programmi, parlando di analisi della Sardegna e di cosa fare per oggi e per domani. E credo che stiamo presentando anche il volto di persone capaci di garantire l’esecuzione di quel programma: capaci di garantire che le cose che diciamo sono esattamente quelle che vogliamo fare. Le cose che diciamo non sono uno specchietto per ingannare le persone oggi e poi galleggiare domani. Le cose che noi diciamo sono le cose che promettiamo alla Sardegna e se le persone si riconoscono in queste cose possono venirci a votare con fiducia. E io ho fiducia che ci sia una vastissima parte dell’elettorato che oggi è fuori dalle indicazioni dei partiti.

Bisogna portare a votare il libero pensiero, altrimenti vince lo zoccolo duro delle clientele.

C’è certamente un voto di clientele e c’è certamente un voto di amicizie. Un voto, diciamo, di scoraggiamento. Perché chi si affida a una clientela invece che a una regola generale è una persona che ha perso la fiducia nella nella democrazia, ha perso la fiducia nel buon governo. L’impegno di questa campagna elettorale è riconquistare la fiducia delle persone e portare le persone a votare sulla base di un progetto per una comunità. Non un progetto per se stessi, non un progetto a persona.

Soru, mancano poco più di quaranta giorni. Ce la si può fare?

Si possono fare altri centocinquanta incontri. Cercheremo di farlo e c’è tanta gente a cui parlare, tanta gente da convincere.

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