
«Una proposta che parte dal basso, che riparte dalle persone, dai territori e dalle idee, libera di capi di partito e dalle coalizioni costruite solamente per vincere». Emanuela Corda, ex deputata del M5S e attuale presidente nazionale di Alternativa, ai microfoni di Extralive ci ha raccontato le ragioni della sua candidatura alla carica di sindaco di Cagliari e la sua visione sulla città del presente e del futuro.
In questi giorni si parla molto di alchimie, di allargamento del Campo Largo
Il proverbio “meglio soli che male accompagnati” non è mai stato più giusto. Purtroppo il problema della politica oggi è proprio questo. Non è nemmeno un problema di persone, perché anche nei partiti tradizionali ci sono persone in gamba, ma di un sistema bipolare, a mio avviso molto malato e antidemocratico, che fa sì che si creino due schieramenti opposti che per vincere devono ammettere qualsiasi corpo estraneo, generando delle situazioni ingestibili. Chi va a governare o ad amministrare, nel caso delle città, si trova ad avere grosse difficoltà a portare avanti un programma coerente con l’impegno preso con i cittadini.
Cosa l’ha spinta a candidarsi alla carica di sindaco di Cagliari? E con quali obiettivi?
Ho scelto di non presentarmi alle politiche con nessuno, perché mi sarei dovuta “infilare” in qualche assembramento e non era assolutamente mia intenzione. Non mi sono candidata nemmeno per le regionali perché ritengo che ci fosse una legge elettorale totalmente scellerata, vergognosa, che come abbiamo visto ha escluso persino coloro che sono arrivati terzi, con oltre 60000 voti. Una cosa profondamente ingiusta. L’obiettivo di questa candidatura è innanzitutto riportare l’amministrazione vicino ai cittadini e favorire la partecipazione attiva della comunità che a nostro avviso è mancata totalmente in questi ultimi anni. I cittadini non si riconoscono nelle scelte delle ultime amministrazioni, nell’ultima in particolare.
Si riferisce alle scelte urbanistiche, ai lavori al mercato di San Benedetto, tutte calate un po’ dall’alto
Esattamente. Il problema è stato proprio la mancanza di comunicazione e soprattutto concertazione, condivisione delle scelte. Nel momento in cui si aprono cantieri in tutta la città, e attenzione io non sono contro i cantieri, è però necessario comunicarli a dovere. Si devono fare delle pianificazioni che anticipino i lavori e vanno fatte con la comunità, con coloro che magari poi dovranno subire le ricadute di questi cantieri. Penso ad esempio ai commercianti di viale Trieste, o di via Sonnino: se per caso ci si ritrova a parcheggiare l’auto alla destra dello spartitraffico, nell’ultimo tratto, poi non si ha più la possibilità di svoltare a sinistra per tornare in via Dante. Un meccanismo che crea ingorghi e imbuti in una zona già fortemente trafficata…
Ecco. Come gestirebbe una patata bollente come quella del mercato di San Benedetto o del rifacimento di via Roma se si trovasse a doverla gestire tra due mesi?
Purtroppo nessuno ha la bacchetta magica, e chiunque dica di poter risolvere tutto una volta insediato a Palazzo Bacaredda sta dicendo una balla colossale. Sicuramente si può intervenire verificando i contratti, gli appalti e la loro durata. Si può controllare se i lavori vengono svolti in maniera corretta e trovare nuove soluzioni: in via Roma ad esempio, i lavori stanno procedendo a tempo di lumaca e spesso vediamo pochi operai all’opera. C’è qualcosa che non va e di sicuro vanno velocizzati, mettendo in campo tutti gli strumenti che possano permettere di terminare al più presto. Serve poi verificare come vengono fatti questi lavori: in via Dante i lavori già terminati presentano diverse problematiche, a partire dai marciapiedi troppo stretti. Io sono assolutamente favorevole alle piste ciclabili, ma anche lì è necessario controllare come vengono realizzate: penso a via Fleming, dove c’è un cordolo che è una sorta di trappola mortale.
Anche in quel caso si tratterebbe semplicemente di ascoltare chi usa la bicicletta. Associazioni di ciclisti urbani, come la FIAB, potrebbero dare indicazioni utili a chi progetta.
Esattamente. Serve un confronto con le realtà cittadine, con le associazioni, coi movimenti di categoria per concertare una serie di azioni che siano realmente in sintonia con il tessuto sociale, produttivo, economico della città. Se le scelte vengono calate dall’alto, senza una programmazione, senza una strategia, con la logica dell’emergenza solo perché “ci sono i soldi e li dobbiamo spendere” non si fa un buon lavoro.
Come le piacerebbe che venisse descritta, tra cinque anni, la sua Cagliari?
Mi piacerebbe che fosse descritta come una città pulita, innanzitutto. Una città ordinata, nella quale i cittadini si sentono in sintonia con il contesto e non devono aver paura. Con un turismo che sia in armonia anche con il benessere delle persone che vivono in città. Non sono per niente d’accordo ad aprire a un turismo cannibale, di massa, che non porta niente alla città. […] Ai crocieristi ad esempio, che hanno l’all-inclusive, non importa niente di spendere soldi in città. È giusto che arrivi qualche nave da crociera, ma ci si deve organizzare anche per far arrivare un turismo diverso, che spenda nella città, anche fuori stagione. Serve quindi investire nella cultura e in altri settori che sono completamente abbandonati. Penso anche agli spazi cittadini che rappresentano il nostro patrimonio storico e archeologico, da Tuvixeddu che non è indicato nemmeno da un cartello in città o all’Anfiteatro Romano, che è chiuso da una vita. C’è grande lassismo e incuria su questi temi, per non parlare del decoro urbano e della sicurezza: ci sono una marea di problemi che semplicemente non vengono affrontati.
Come sarà composta la lista che la sosterà a candidata sindaca?
Non posso ancora fare nomi, ma sarà una lista rappresentativa di tutta la società cagliaritana. Dai quartieri popolari alle aree che rappresentano il commercio, imprenditori, insegnanti. Abbiamo costruito una lista con molta attenzione, fuori dalla logica dei riempi-lista, ma con l’intento di poter creare un movimento partecipativo e propositivo nel quale si possano rispecchiare le persone che andranno al voto.
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