L’invenzione degli italiani. Dove ci porta Cuore – Intervista con Marcello Fois

Cuore di Edmondo De Amicis è stato uno dei libri più letti e più criticati della nostra letteratura. Oggi purtroppo lo si legge un po’ meno, ma dovremmo tornare a farlo, e proprio in virtù della critica che più spesso gli è stata rivolta: essere buonista. Ma Cuore è davvero un libro buonista? Se anche lo fosse non ci sarebbe nulla di male, anzi. Si tratta infatti dell’unico classico italiano che non sia scaturito da esigenze prettamente letterarie ma da un impegno etico preciso: De Amicis ha inventato gli italiani, ha espresso le possibili coordinate di un popolo nel caos di differenze apparentemente irreconciliabile. E lo ha fatto perché credeva in un modello di società utopistico fino al punto di pensare che si è felici solo a patto di essere felici di quello che si è. 

Una riflessione sul romanzo di formazione nazionale per eccellenza, quel “Cuore” di Edmondo De Amicis che ha forgiato intere generazioni di italiani e ha lasciato i suoi influssi sulla nostra identità di nazione: lo scrittore Marcello Fois, ospite di Extralive mattina in compagnia di Giovanni Follesa e Sergio Benoni, ci ha parlato del suo ultimo libro “L’invenzione degli italiani. Dove ci porta Cuore” edito da Einaudi: «Il libro Cuore io l’ho letto in terza elementare e il suo effetto per me è stato rivelatore e deflagrante sotto molti aspetti. Un libro di lettura “fuori” dal dovere scolastico, che ho trovato meraviglioso. Noi siamo molto simili a come ci ha disegnato De Amicis: basta guardare la tv pomeridiana italiana, con madri separate, padri lontani, figli contesi, nonni soli, preti, omicidi. Una sorta di catalogo di faccende che hanno tutte a che fare col sistema del libro Cuore. Il punto, il problema per lui era quello di provare a ipotizzare un’Italia così come doveva essere: la metafora migliore era una classe, con gli studenti, che rappresentavano gli italiani, e il maestro, che rappresentava il collante. Un libro che tenta di sperimentare l’unità in un momento in cui invece siamo mostruosamente separati e anche la politica spesso ci separa anziché unirci, un libro che ha molte letture ed è meno innocuo di quanto sembri e che porta al centro della narrazione l’istruzione: il concetto fondamentale dal suo punto di vista è che vale la pena di spendere per istruire cittadini piuttosto che buttare via i soldi con cittadini ignoranti. Lui dice che il cittadino istruito è il primo gradino per il superamento di qualunque crisi. Il cittadino ignorante fa precipitare le crisi in maniera determinante, e infatti, purtroppo, lo vediamo anche adesso: l’assenza di istruzione produce il dilettante al comando, l’arrogante che pensa di aver ragione perché lo dice lui, l’università della vita: siamo tutti virologi, tecnici sportivi, siamo tutti quello che non abbiamo studiato nella vita. Dentro questo libro ho provato a raccontare cosa ha significato l’esperienza scolastica per me, cercando di ricordare anche una cosa molto importante: che la solidarietà si impara, non è un talento naturale.»

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