Le prime a dover chiudere i battenti a causa dell’emergenza Covid-19 saranno probabilmente le ultime a poter riaprire: le imprese legate al mondo dell’arte e dello spettacolo sono oggi tra quelle maggiormente in difficoltà e per cui è difficile prevedere un futuro chiaro. Nonostante i pochi contagi registrati, cinema, teatri, musei e festival culturali continuano a non vedere la luce in fondo al tunnel: dopo il “click day” per il finanziamento dei grandi eventi ad alto interesse turistico, che ha lasciato fuori molti dei festival storici della Sardegna, la cultura deve incassare un altro duro colpo che potrebbe avere gravi conseguenze su tante realtà oggi presenti sul territorio. Massimo Palmas, operatore culturale e fondatore di Jazz in Sardegna, è intervenuto ai microfoni di Extralive mattina per parlare della difficile situazione del settore: «Sappiamo tutti che i teatri sono il luogo più sicuro d’Italia dove è possibile lavorare in sicurezza e senza creare assembramenti. Un ministro che invece di tenere aperti i teatri pensa a fare la “Netflix” della cultura non è adeguato a gestire questa risorsa preziosa per il Paese.»
CLICK DAY E INDUSTRIA DELLO SPETTACOLO IN SARDEGNA: «In trent’anni non abbiamo saputo dare indicazioni univoche alla politica e ci ritroviamo con un settore che non è normato e che non stabilisce delle regole chiare per colpa nostra e delle rivalità interne. Ci interessa di più danneggiare il nostro “concorrente” che mandare avanti il bene comune…» «Oltre al click day, è ben più grave il fatto che nell’art.56, con il Covid ci sia stato un taglio netto del 20% quando contestualmente siamo stati tutti chiamati dalla stessa istituzione a tenere vivo il comparto. […] La reazione al click day è stata una passerella autoreferenziale dei festival che si ritenevano danneggiati. Non uno ha parlato di un problema collettivo e dei veri problemi del settore. Le regole dell’ultimo bando erano allucinanti e sarebbe stato giusto protestare prima di arrivare al click day. Di fatto, l’unico criterio che stabiliva il diritto ad accedere a questi finanziamenti era l’anzianità: Jazz in Sardegna, ad esempio, su 100 punti disponibili in graduatoria ne avrebbe preso 65 solo per il fatto di avere 40 anni di attività alle spalle. Una cosa obbrobriosa perché l’anzianità conta ma deve essere uno dei tanti parametri per misurare il valore di un progetto.»
DA DOVE RIPARTIRE? «Bisogna rendersi conto che questo sistema sta affondando e non è più possibile tirare a campare. È andato avanti così per trent’anni, non so come. Non credo che da parte della nostra categoria ci sarà una reazione corale o una presa di coscienza. Basterebbe prendere esempio dalle normative che esistono in altre parti d’Italia. Il MiBAC ad esempio, ha un quadro molto articolato e preciso, che con tutte le sue imperfezioni restituisce la misura e il rating di ogni impresa culturale. Il nostro è un sistema malato e aspettare che si autoriformi è impossibile. Serve un intervento politico dall’esterno. Le dichiarazioni di Solinas mi convincono del fatto che lui sia andato al cuore del problema: non c’è improvvisazione in quello che è successo, anche nella parte più volgare, col click day che altro non è che rifilare il ceffone in maniera ancora più sonora: ci hanno detto “valete questo e vi trattiamo per quello che valete”.»
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