Regionali, la svolta dei Progressisti – Francesco Agus: «Gli elettori ci chiedono unità»

I Progressisti lasciano la coalizione di Renato Soru e sosterranno Alessandra Todde per la corsa alle Regionali. La notizia, diffusa a tarda notte a chiusura della riunione del coordinamento regionale del partito, è l’ennesimo colpo di scena di una campagna elettorale che, a poche settimane dalla chiusura delle liste, non ha ancora espresso con chiarezza quali saranno le forze in campo. Francesco Agus, capogruppo dei Progressisti in Consiglio regionale è intervenuto all’interno della puntata di Extralive per fare il punto della situazione.

Francesco Agus, ci traduce in prosa il comunicato finale del vostro coordinamento di ieri?

Il linguaggio in effetti può apparire un po’ brezhneviano ma i documenti politici scrivono così per un semplice fatto: tengono conto di una discussione durata sette ore ed è importante dare spazio a tutte le posizioni espresse. Quindi sono documenti che devono essere complessi. Nei contenuti si può riassumere in quattro punti: l’ultimo dice né più e né meno che i progressisti confermano la decisione di cui abbiamo discusso per due riunioni, di costituire con tutte le altre forze politiche, democratiche, progressiste, socialiste e autonomiste, e ci riferiamo al Partito Democratico, al Movimento 5 Stelle e alla coalizione che si è aggregata attorno a loro, un’unica coalizione che abbia come scopo vincere le elezioni e rimuovere questo governo pessimo che ha governato la Sardegna in questi anni.

Sembra però di capire che alla fine di questo percorso c’è stata una parte che era disposta anche a rinunciare alla propria candidatura per andare verso una convergenza, dall’altra parte c’è stata invece una rigidità, e a quanto pare voi vi state spostando verso quella parte lì.

Spiace che una riunione sia diventata notizia. In questi due mesi, l’impegno che abbiamo preso è stato quello di ricomporre il campo. Ci abbiamo provato sino ai minuti di recupero, ma ora una decisione va presa se non altro perché le liste vanno presentate. Consideriamo una follia presentare due coalizioni contrapposte e crediamo che si debba fare un passo avanti per riuscire a ricomporle. Questo invito lo facciamo anche a chi sta animando la Rivoluzione gentile con Renato Soru. In questi mesi, la prima cosa che ci viene detta dai nostri sostenitori, dai cittadini che vorrebbero semplicemente un cambiamento alla guida della regione, è di andare uniti. Questa irrazionale divisione non è stata capita ma può essere ricomposta. Noi abbiamo suggerito una strada: si può anche costituire un’unica forza che dentro a quella coalizione ha la possibilità di pesare, di portare le istanze che sono cresciute in questi mesi, e di essere però costruttiva ai fini elettorali. Non dobbiamo dimenticare che basta un voto in più e la coalizione che ha un voto in più elegge il suo presidente. Oggi noi saremmo i favoriti numero uno per vincere le elezioni: probabilmente Giorgia Meloni non avrebbe sacrificato un uomo del suo partito perché sarebbe stata quasi sicura di fare, in Sardegna, una figuraccia. Ora la partita è da giocare: però, coerentemente con quello che abbiamo fatto in questi cinque anni di Consiglio regionale, dobbiamo fare di tutto per vincere. Non è pensabile che quei ragionamenti oggi si traducano in “allora facciamo vincere la destra”. Capisco che ci siano realtà che considerano i due schieramenti identici, ma non siamo noi.

Il problema però è anche convincere gli elettori: sino a ieri siete stati parte della Rivoluzione gentile di Renato Soru, siete andati agli incontri prendendo delle posizioni anche molto forti rispetto al metodo scelto da Pd-M5S e oggi questa inversione a U può essere spiazzante per il vostro elettorato.

Noi abbiamo sempre parlato di ricerca dell’unità: non c’è una riga di un nostro comunicato in cui noi diciamo di voler creare una coalizione alternativa perché il male risiede in quei partiti con cui abbiamo fatto opposizione e con cui per primi abbiamo cercato di creare una coalizione. Poi, di fronte a problemi di metodo gravissimi, noi abbiamo fatto una scelta coraggiosa: cioè abbiamo deciso di non sederci più a quel tavolo e abbiamo provato a ragionare con tutti gli altri per aggregare, in funzione però di creare una coalizione unitaria. Oggi abbiamo dovuto prendere atto del fatto che questo potrebbe non essere possibile. E abbiamo preso una decisione che è stata frutto di una discussione lunga che ha coinvolto anche i candidati. Perché ovviamente ci sono persone che hanno dato la loro disponibilità e vorrebbero candidarsi per una proposta alternativa al centrodestra. Non credo che si possa costruire niente di buono stando all’opposizione. Lo dico per esperienza perché questi cinque anni ci insegnano che anche provandole tutte, la cosa migliore che riesci a fare è congelare il governo e bloccare tutto. Non puoi però produrre niente né sul piano istituzionale né sul piano politico.

Come Progressisti quindi date questa partita per chiusa? E perché secondo voi, visto che avete anche promosso un incontro tra le due parti?

Il dibattito ricorda per alcuni versi più quello interno alla stessa forza politica. Anche per violenza, perché purtroppo a volte è più violento il dibattito interno che il dibattito sui grandi temi. Se ci fossero state differenze sui temi, sarebbe stata nelle cose una spaccatura, ma qui però la sensazione è che si dicano esattamente le stesse cose. È quindi solo un problema di leadership. È vero che da una parte c’è una candidatura che è stata scelta da una coalizione, anzi, principalmente da due partiti, e su questa scelta abbiamo già detto la nostra.

Però alla fine vi state schierando con chi ha manifestato una maggiore rigidità.

Noi abbiamo una linea politica. Ci sono stati due mesi di sospensione, perché di fatto poteva accadere qualunque cosa, che però, piaccia o non piaccia, non è accaduta. La candidatura dentro il PD e M5S è cresciuta, è stata bene accolta, ha iniziato una sua campagna elettorale, non ha straparlato e non si è collocata al di là della coalizione. È una candidatura su cui tra l’altro non c’erano alternative da parte di quel campo, e abbiamo preso atto anche di questo fatto. Poi è chiaro che noi avremmo voluto fare le primarie, perché così non ci saremmo trovati con la possibilità di avere due candidati dello stesso campo. Però, anche nella coalizione e nel gruppo di liste che si è aggregato attorno a Renato Soru che coraggiosamente ha fatto questa azione, non c’è l’omogeneità totale con la nostra visione. Ci sono realtà che hanno una visione diversa: Rifondazione non faceva parte di nessuna coalizione, Azione era nel centrodestra e sosteneva Solinas. Ci sta che abbia una visione diversa rispetto alla nostra.

A poco più di un mese dalle elezioni ora il tema è il coinvolgimento degli elettori. Tra manovre, trattative, cambi di schieramento non c’è il rischio di avere un’emorragia di voti ancora più copiosa?

L’ho spiegato e lo rispiego: in questi due mesi, gli elettori che ci fermano allo stadio, al supermercato o nelle assemblee politiche non ci chiedevano di questo o di quel candidato, ci dicevano semplicemente “Siete pazzi a non andare uniti. Perché così facendo si elimina ogni possibilità di vittoria”. Gli errori ci sono stati e li abbiamo denunciati, ma bisogna pensare al futuro. E l’unico modo per provare a giocare la partita è fare l’azione che stiamo facendo.

Alla data attuale quali sono le previsioni che si possono fare? Al di là di quelle che il dettate dal cuore, da un punto di vista più più razionale, il fatto che Fratelli d’Italia punti su Paolo Truzzu significa che Giorgia Meloni intravede una possibilità di vittoria perché il centrosinistra è diviso?

C’è anche questo aspetto: sappiamo, e le cronache di oggi lo confermano, che la Sardegna viene vista, a Roma, come una tessera di uno scacchiere. Siamo la prima regione ad andare al voto nell’anno delle europee, e quindi in piccola parte possiamo condizionare gli equilibri interni o la sensazione verso un partito. Il partito di Giorgia Meloni che in questa fase ha il vento in poppa sta ragionando così. Vuole giocare la partita in prima persona nonostante sia una partita che qualche mese fa era data per persa per oggettivi demeriti, tant’è che il presidente uscente è stato silurato nella vergogna. Poi certo, non sappiamo ancora come finirà, ma nessuno salva Solinas a parte il suo partito. Questa è la fotografia di uno scenario in cui di solito in Sardegna si verifica l’alternanza. Però le decisioni romane ci dicono che a fronte di una nostra spaccatura, evidentemente, ci sono altri scenari possibili. Io credo che oggi alle urne ci sia una ampia maggioranza progressista, cioè un’ampia maggioranza degli elettori che vuole votare qualcosa di diverso rispetto a chi ha governato. Il problema è che andando divisi, quell’ampia maggioranza diventa minoranza in Consiglio regionale, e non tocca palla.

Qua stanno arrivando una marea di messaggi che ci chiedono cosa c’è dietro questa vostra scelta, qualcuno dei nostri ascoltatori dice che c’è l’accordo sul sindaco di Cagliari. Cosa gli rispondiamo?

Rispondo volentieri. I sindaci li eleggono i cittadini, e tutte le volte in cui le segreterie di partito si sono messe d’accordo per un candidato, poi quel candidato non è diventato sindaco, è diventato consigliere comunale. Il tema è questo. Noi avremmo potuto legittimamente, e non penso sarebbe stato uno scandalo, proporre un candidato per la presidenza della Regione. Siamo l’unica forza politica che non li ha proposti e l’abbiamo fatto per mantenere la possibilità di essere un raccordo, di essere un trait d’union tra partiti e tra correnti che non si parlano. È però chiaro che ad impossibilia nemo tenetur, (nessuno è tenuto all’impossibile). Ci abbiamo provato sino all’ultimo momento. Abbiamo organizzato dalle nostre parti, così leggo sui giornali, una riproduzione in sedicesimi della Conferenza di Jalta, però non tutto è possibile e tra le cose possibili la scelta che abbiamo fatto è stata quella che crediamo sia la più utile per la Sardegna.

C’è una riflessione sul blog di Paolo Maninchedda, che non è particolarmente tenero in generale con la coalizione di Alessandra Todde e che sostiene che oggi il PD sia in crisi nera. E questo lo si vede a livello nazionale e può avere ricadute anche a livello regionale. Quindi ci chiediamo: ma questo PD, che dovrebbe essere uno degli assi portanti della scalzata del centrodestra in regione, sarà in grado di reggere? Di portare le persone alle urne?

Da solo? no. E io non immagino una coalizione guidata dai partiti grandi con tutti gli altri che fanno le comparse. Il motivo di una ripresa di rapporti con quel mondo è legato anche dalla volontà, espressa in tutti i modi possibili, di cambiare passo anche in questo tipo di relazioni. Siamo in una coalizione convinti di poter incidere sulla vita di quella coalizione esattamente come siamo stati in grado di incidere sulla vita dell’opposizione negli ultimi cinque anni. Perché noi, pur essendo un partito piccolo, in questi anni di opposizione ci siamo fatti vedere e questo ci viene riconosciuto anche da chi guida la coalizione PD-M5S.

Se decidiamo insieme, è possibile che le decisioni magari siano più fruttuose.

Ormai sembra ufficiale che si voterà un giorno solo. Voi avete tentato una battaglia in Consiglio regionale per cercare di permettere agli elettori di andare a votare in due giornate, ma avete ottenuto poco.

Quello era un golpe: un tentativo di utilizzare le norme che dovrebbero essere fatte per tutti, a misura di una coalizione che vorrebbe rivincere le elezioni: hanno fatto scadere i termini in modo che non fosse più possibile presentare una modifica normativa. Si trattava né più né meno di fare quello che è stato fatto per le recenti amministrative, cioè dare la possibilità di votare domenica e lunedì.

Non lo hanno fatto semplicemente perché credono che con un afflusso basso le loro possibilità aumentano. Diciamola tutta: l’enorme mole di clientele prodotta in questi cinque anni ha un valore se l’affluenza è molto bassa e ne ha un altro, molto inferiore, in caso di affluenza alta.

Loro stanno giocando tutto sul fatto che “le compravendite”, così la diciamo tutta ancora di più, fatte in questi anni in maniera immorale, possano avere un tornaconto elettorale molto più più forte.

Ma come è possibile che non si sia riusciti a evitare almeno quest’ultimo colpo di mano? Si poteva tentare di farlo tutti insieme con le opposizioni e trovare magari anche qualche appoggio interno alla maggioranza, no?

La maggioranza è rimasta compatta su questo addirittura nessuno nella maggioranza si è presa la responsabilità di di dirsi contraria a questa proposta di buonsenso. Hanno semplicemente fatto scadere i termini e poi non hanno convocato il il Consiglio regionale, perché quella è una decisione che spetta al presidente del Consiglio regionale che ha detto “me ne occupo” e poi se n’è occupato semplicemente lasciando che i termini cadessero.

In una regione che rischia di vedere un afflusso inferiore al cinquanta per cento c’era la possibilità, il regolamento lo consentiva, di far andare a votare i sardi due giorni e invece volutamente si è evitato che questo accadesse.

È chiaro che quello non avrebbe sovvertito il dato dell’affluenza, però sicuramente avrebbe consentito a qualche cittadino in più di andare a votare. “C’è ancora domani”, il film di Paola Cortellesi che ha riscosso un grande successo, parla proprio – sullo sfondo – di quella eventualità. C’è ancora domani per votare, anche. In questo caso invece è stato palese il tentativo di tenere il più lontano possibile la gente dalle urne. Una cosa che va contro il principio base della democrazia.

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