“Assandira”: sul grande schermo il ritorno di Gavino Ledda nella pellicola di Salvatore Mereu – intervista con il regista

Debutta questa sera nei cinema della Sardegna e in tutta Italia, distribuito dalla Lucky Red, il nuovo film del regista Salvatore Mereu, “Assandira“, liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Giulio Angioni. Recentemente presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, dove ha raccolto il favore della critica, il film vede il ritorno sul grande schermo di Gavino Ledda, protagonista nel 1977 del celebre “Padre padrone”, capolavoro dei fratelli Taviani. Ne abbiamo parlato ai microfoni di Radio X con Sergio Benoni e con il regista della pellicola, Salvatore Mereu: «Quello di Angioni è un libro “profetico” sulla deriva che c’è stata nell’utilizzo smodato e improprio delle tradizioni, e che racconta la storia di un vecchio pastore, coinvolto dal figlio e della nuora straniera, in un’impresa turistica piuttosto sui generis, e a cui viene chiesto di fare il pastore per finta, ad uso e consumo dei turisti, che con un gusto un po’ da safari e un po’ da reality, vengono a visitare una Sardegna primordiale che viene venduta in modo improprio. Nel libro come nel film tutto questo finisce in tragedia, perché forzare i limiti che un po’ la natura, un po’ la dignità umana ci impone di non superare, può portare allo sconquasso.» La pellicola, girata tra la Germania, il Comune di Dolianova e Marrubiu, e l’area di Bono e Burgos, con un team composto in gran parte da professionalità sarde, sarà presentata in anteprima per Cagliari negli spazi della Manifattura, e sabato 12 settembre anche nei due multisala “The Space” di Quartucciu e Sestu, alla presenza del regista e di buona parte del cast: «Ci poteva essere il rischio che ci fosse una serie di cartoline dei nostri paesaggi» ma ci siamo concentrati soprattutto sugli interpreti, sugli attori, sui personaggi, senza rinunciare alla bellissima struttura poliziesca che ci offriva già il romanzo. […]. Io non ho fatto altro che prendere in eredità quanto, in modo ancor più profetico, Angioni già quasi 20 anni fa descriveva nel suo libro, essendo lui un fine e acuto osservatore dei costumi e della tradizione. Da grande antropologo qual era, aveva in qualche modo già previsto questa deriva, anche nell’utilizzo smodato dell’autorappresentazione. Nel film ad esempio, tutti i personaggi fanno un continuo ricorso alle Polaroid, con le quali cercano di immortalare le loro vacanze, che ci ricorda questa nostra attitudine, ormai incontrollabile, che non ci consente nemmeno più di vivere il momento che sostituiamo con la sua rappresentazione.»

Cosa si aspetta dallo sguardo, spesso molto severo, del pubblico sardo?

«Questa sarà la vera scommessa. Tengo a precisare che abbiamo fatto un film per tutti. Non vorrei che fosse declinato come un film sardo, è una pellicola che racconta temi che appartengono a tutti. […] I sardi hanno storicamente un rapporto molto difficile con la rappresentazione che viene fatta di sé stessi al cinema. Sarà curioso vedere come sarà accolto. Probabilmente, come accaduto per altri miei film in passato, susciterà divisioni; ma ben vengano. L’importante è che il pubblico torni ad appassionarsi, ad uscire dal proprio guscio e a vivere i film come esperienza culturale di confronto e di crescita. Se arrivano anche le critiche, ci stanno. Sappiamo che fa parte del gioco.»

Un passaggio sul ruolo di Gavino Ledda, protagonista della pellicola: «Era quasi nella natura delle cose. Ha un’apparenza, un viso che racconta un mondo che quasi non c’è più. Era l’interprete ideale. Avevo la preoccupazione però, quando l’ho scelto, che la gente lo conoscesse troppo come Gavino Ledda e stentasse a riconoscerlo nei panni del personaggio che lui interpreta. Fortunatamente questo non è accaduto, e penso di poter dire che abbiamo vinto la scommessa anche grazie alla sua sensibilità. Ha dato prova di essere un grande interprete…»

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