Salvatore Niffoi: «Abbiamo dimenticato la bellezza provvisoria dell’esistenza: con la nostra ignoranza il virus ha vita facile»

«Questo libro è stato pensato nel lontanissimo 1986, dopo i fatti di Chernobyl. Ma certe storie hanno bisogno di sedimentare. A volte ti rimbalzano dentro la testa come pietre di fiume dentro un barattolo di latta, e molte volte i personaggi rivendicano un’altra vita, un’altra morte. Non sono consapevoli come noi dell’ineluttabilità del dolore, del male, per cui magari un personaggio l’hai fatto anoressico e si vuole obeso, oppure gli hai prolungato troppo la vita e se la vuole accorciare volontariamente. Un romanzo che ha una chiave di lettura molto nuragica: io credo molto che nella società contemporanea, ma in tutte le società che hanno riconosciuto e visto l’evoluzione del genere umano ci sia un’architrave. Quest’architrave è l’uomo, con la sua consapevolezza dell’esistere, della provvisorietà, della sua cultura. Senza quest’architrave il nuraghe collassa e collassa anche ogni società, soprattutto di fronte alle paure. Come oggi, che l’uomo ha perso il senso della morte. Anche di fronte all’ineluttabilità del dolore c’è quel bisogno antico di raccontarsi e condire la realtà con il sogno e il desiderio, perché senza, la vita dell’uomo, come direbbe il grande filosofo Califano, è soltanto noia. E su questa terra non passeremmo leggeri…»

Premio Campiello 2006 e da poco in libreria con il nuovo libro “Il sogno dello scorpione” edito da Il Maestrale, Salvatore Niffoi ci ha raggiunto ai microfoni di Extralive mattina per raccontare la genesi del suo ultimo lavoro che guarda in faccia l’attualità attraverso la storia di due innamorati, che dovendo fare i conti con l’arrivo di una febbre mortale preceduta da una nebbia gialla si rifugiano in un nuraghe, mentre attorno a loro la gente inizia a morire e cade in preda al terrore. E nel buio, dentro quel cono di pietre, perdono il conto dei giorni, e per non perdere anche il senno, decidono di tenersi vivi inventandosi storie: «Un romanzo che nasce per far capire che la vita è un modo di allenarsi a morire. Quando ce lo dimentichiamo, come ha teorizzato bene il grande Bauman, non riusciamo a capire che la bellezza della vita, e il miracolo dell’esistenza, consiste in questa quotidiana meravigliosa bellezza provvisoria. E a questo punto la natura tutta, non solo le formiche ma anche altri animaletti, si vendica e s’incazza. E se la prendono con noi, con questa evoluzione scellerata, con questa locomotiva che guccinianamente va a schiantarsi contro un progresso forzato buttando via tutto quello che c’era di buono nel mondo agropastorale. Perché abbiamo perso quell’elogio, magnifico, della normalità che c’era prima e siamo caduti dentro l’idea di non morire mai, e ci crediamo i padroni del mondo dimenticando che siamo ospiti molto provvisori.»

Un tema che ben si lega all’ondata di paranoia collettiva che in questi giorni ha generato enormi timori sul vaccino, quasi sino a dipingerlo come più pericoloso di un virus che solo in Italia fa registrare oltre 300 morti al giorno: «Una cosa pazzesca. Sono giunto alla conclusione che la gente stia passando dal negazionismo scellerato al fatalismo rassegnazionista. Soprattutto nei giovani, svezzati a merendine e social, vedo una sorta di nazismo giovanilistico: ragazzini che non distinguono più un grillo da una farfalla, una merdona da un coniglio, si dimenticano che gli anziani sono le casseforti della memoria. Le più preziose per la nostra specie. Questi ragazzi, se rimangono da soli, continueranno a vivere dentro una rete invisibile che li costringe a una fusione fredda nell’esistenza. Tutto il mondo che li circonda lo considerano una protesi della propria stupidità e questo è molto grave. Anche in televisione sono tutti esperti da trespolo televisivo: all’epoca dei miei nonni, in Barbagia ma anche altrove, le persone valevano per quello che facevano. Oggi valgono per quello che fanno vedere. Abbiamo perso il senso del pudore e della dignità, al punto da offendere pure la malattia. Alla fine questo virus se ne andrà incazzato perché dirà: “ma questi imbecilli, non meritano nemmeno di essere contagiati”. Rischia di diventare cretino anche il virus, che è purtroppo molto furbo, e con la nostra ignoranza ha oggi gioco molto facile.»

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