
Dai reportage d’inchiesta alla regia di documentari e opere in lingua sarda: l’ospite di questa puntata di Un caffè a Radio X è il regista Paolo Carboni. Con lui abbiamo ripercorso il suo percorso professionale e creativo, orientato sull’importanza della memoria, del racconto e della lingua come strumenti di resistenza culturale.
«Fare informazione mi stava stretto», racconta Carboni, ricordando gli anni passati tra cronaca nera e sequestri per le testate nazionali: «C’era meno il piacere di scavare, di raccontare le persone. Allora ho sentito il bisogno di fare un racconto personale».
Un’esigenza da cui sono nati documentari come Circolare notturna, Cattedrali di sabbia, Le spose di del Grand Hornu, Capo e Croce, tutti legati alla Sardegna e alle sue trasformazioni sociali. Un filone parallelo, ma altrettanto importante, è quello della fiction in lingua sarda e cagliaritana. Con Casteddu Sicsti, Carboni ha creato un ponte tra documentario e finzione, mescolando attori, spiriti guida della città e filmini di famiglia degli anni Sessanta: «Il cagliaritano è perfetto per il cinema. Non è una lingua riconosciuta, ma ha una musicalità e una forza espressiva che andavano valorizzate».
Accanto all’attività di regista, Carboni è anche tra gli animatori del Premio Kentzeboghes, un concorso che stimola la produzione cinematografica in lingua sarda: «Siamo all’ottava edizione. In tutto, finora, sono usciti dodici film. Non diciamo di averli prodotti noi, ma li abbiamo sicuramente stimolati». Un lavoro che nasce in continuità con l’esperienza del Babel Film Festival, biennale dedicata alle lingue minoritarie nel cinema: «Babel è il trionfo della diversità. Ogni edizione è un’occasione per incontrare produzioni di altissimo livello da tutto il mondo, come quelle in lingua basca o curda. Più una lingua viene repressa, più forte è la voglia di usarla nel racconto». Giunto alla nona edizione, il Babel è oggi un punto di riferimento culturale non solo per chi lavora nel cinema, ma anche per chi crede nella pluralità linguistica e nella forza dell’audiovisivo come strumento di inclusione e consapevolezza.
Nato a Cagliari nel 2009, il festival è cresciuto attorno a un’idea semplice e potente: raccontare storie di comunità e persone che parlano lingue non dominanti: “All’inizio ci sembrava un’utopia,” racconta Carboni. “Il primo anno abbiamo fatto un bando in sei lingue e non sapevamo se qualcuno ci avrebbe risposto. Alla fine ci sono arrivati 100 film da tutto il mondo. È lì che abbiamo capito che questa era una cosa seria.” Da allora il festival è andato avanti rafforzandosi, creando una rete internazionale e mantenendo saldo il legame con il territorio sardo e con il mondo del cinema indipendente.
“Non c’erano molti esempi a cui ispirarsi,” ricorda ancora Carboni. “Abbiamo costruito tutto da zero, con tanto entusiasmo e pochissimi mezzi. C’era il desiderio di creare uno spazio dove il cinema potesse parlare di identità senza retorica, in modo diretto e visivo.” Un lavoro pionieristico, fatto di contatti personali, ricerca, e di un’attenzione particolare alla qualità delle opere selezionate. “Quello che ci ha stupiti subito è stata la varietà: non solo lingue diverse, ma anche storie potenti, sperimentazioni formali, uno sguardo vivo sul mondo. Oggi il festival è sostenuto da una fitta rete di partner nazionali e internazionali, e accoglie ogni anno centinaia di opere provenienti da tutti i continenti. L’edizione 2025 si terrà a giugno a Cagliari, negli spazi dell’EXMA.”
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