Un caffè a Radio X con Michele Cuscusa: «Pastore per vocazione, da quarant’anni crediamo nel biologico»

«Se uno è convinto, convince gli altri e riesce a fare». Michele Cuscusa lo ha imparato a tredici anni, quando ha deciso di diventare pastore contro il volere del padre. Oggi, insieme ai suoi fratelli, è alla guida dell’azienda agricola Fratelli Cuscusa di Gonnostramatza, un esempio virtuoso di agricoltura biologica e multifunzionale in Sardegna.


«Quando uno nasce pastore, non può perdere la propria identità». Michele Cuscusa, titolare insieme ai suoi fratelli dell’azienda agricola Fratelli Cuscusa di Gonnostramatza, è l’ospite di questa puntata di Un caffè a Radio X: intervistato da Ilene Steingut ci ha raccontato con passione la storia della sua famiglia e della sua scelta di vita, legata all’agricoltura biologica e sostenibile, che affonda le radici in una lunga tradizione contadina: «Sono figlio della transumanza. I primi a credere nel progetto della nostra fattoria sono stati i nostri genitori. Mio padre veniva da Sedilo, un paese di cavalli e cavalieri. Quando arrivò nel Campidano, alla fine degli anni Quaranta, portava con sé 350 pecore, due cavalli, e tutta l’attrezzatura del mestiere. Vestito con pantaloni in velluto, stivali e giacca, sembrava un signore più che un pastore». Un’immagine che colpì anche la madre di Michele, figlia di un ex maresciallo dell’esercito e sorella di finanzieri e di un medico: «Per poterla conoscere, mio padre si mise il vizio di fumare, così aveva una scusa per entrare nell’emporio del nonno. Un giorno arrivava con un cavallo bianco, un altro con un baio. Finché è riuscito a farsi accettare da quella famiglia, che certo non vedeva di buon occhio i pastori».

Nonostante da ragazzo avesse la possibilità di scegliere altre strade, Michele non ha mai avuto dubbi: «A 13 anni avevo finito le scuole dell’obbligo, mio padre mi disse: “continua a studiare, non c’è bisogno di altri pastori”. Ma io no, ero deciso. Gli chiesi di poter fare questo mestiere. Mi affidò le primipare, le pecore più selezionate, ma subito mi trovai a fare i conti con le difficoltà: una volpe mi rubò il primo agnello. E poi ancora un altro. Tutti mi prendevano in giro. Ma io ero testardo: presi il miglior cane, trovai la volpe, la legai e la portai in paese. Volevo dimostrare a mio padre, ai miei fratelli, a tutti, che ero pronto. E che questo era il mio posto nel mondo».

Oggi l’azienda di famiglia è portata avanti da quattro dei sette fratelli: «Abbiamo un allevamento ovicaprino, suino e anche cavalli, che però non usiamo per lavoro: ci teniamo troppo. Ognuno ha la sua responsabilità: chi si occupa delle pecore, chi delle capre, chi dei suini. E poi insieme ci dedichiamo alla trasformazione, nel nostro mini caseificio, e all’agriturismo. Ma solo su prenotazione: pranzi e cene organizzate per chi vuole conoscere davvero la nostra realtà».

Tutta la produzione è biologica: olio, vino, formaggi. Ma non si tratta di una moda recente: «Abbiamo iniziato con l’agricoltura biologica più di quarant’anni fa, quando nessuno ancora ci credeva davvero. Ci siamo convinti che era la strada giusta per fare prodotti sani, sostenibili, e arrivare al consumatore con la coscienza pulita. La Sardegna, e in particolare la nostra zona, è perfetta per questo tipo di coltivazione: veniamo dalla Marmilla, un’area ricca di minerali e di storia geologica vulcanica. Il terreno è fertile, non è mai stato sfruttato intensivamente, e questo ci permette di offrire ancora oggi prodotti di qualità».

E la qualità, per Michele, non si misura solo in laboratorio. «Le analisi più autentiche le fanno i consumatori. Basta guardare, annusare, assaggiare. Il colore, il gusto, il profumo delle cose naturali sono il vero metro. Quando si parla di qualità, spesso si parla solo di numeri. Ma la qualità è qualcosa che si percepisce, che ti arriva dentro. E viene da ciò che è semplice, fatto con cura».

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