Parafrasando una nota affermazione di John Lennon su Chuck Berry (“if you tried to give rock and roll another name, you might call it ‘Chuck Berry’), si potrebbe dire senza sbagliarsi troppo che, se si dovesse dare un nome al jazz, lo si potrebbe chiamare Duke Ellington, tanto fondamentale è stato il contributo del grande pianista, compositore e bandleader di Washington per la musica afroamericana. All’unico e primo Duca, quello nero, e alla sua musica abbiamo dedicato la nostra puntata che inizia con una “I got it bad and that ain’t good” interpretata con grande raffinatezza da Nat King Cole e dal quintetto guidato dal pianista inglese George Shearing, accompagnati da una orchestra organizzata da Nelson Riddle, uno dei più grandi arrangiatori della musica americana, tra i preferiti da Frank Sinatra.
Anche se il brano aveva già avuto numerose letture nel corso dei decenni precedenti -il brano è del 1935-, “In a sentimental mood” trova in questa versione in quartetto di Duke Ellington e John Coltrane una forma talmente riuscita da essere considerata quella definitiva.
La strumentale “CJam Blues” diventa “Duke’s Place” in versione vocale, e diventa il posto adatto per una delle voci più importanti della storia del jazz, Ella Fitzgerald, a Stoccolma nel 1966 con l’orchestra di Duke Ellington e Jimmy Jones al piano.
Decisamente poco canonica è la “Caravan”, che prendiamo dalla session in trio intitolata Money Jungle organizzata per Duke Ellington dal vulcanico contrabbassista Charles Mingus, eseguita in trio da Duke, con Mingus e Max Roach alla batteria, e quindi priva dei tipici effetti “esotici” forniti dai fiati nelle esecuzioni dell’orchestra ducale. Proprio perché inattesa e spiazzante questa versione è particolarmente interessante e decisamente bella.
Come Sunday, da una riedizione della suite Black brown and beige. che comprendeva la fantastica interpretazione della Gospel Singer Mahalia Jackson, è un brano che andrebbe ascoltato più volte e con attenzione per ammirarne la intensità emotiva e insieme la misura attenta della parte strumentale.
Wild man è una traccia dalla session che documenta l’incontro tra l’orchestra di Duke Ellington e l’altra corazzata del jazz, la Big Band del nobile Count Basie, in un brano dal profumo esotico che mette insieme gli Ellingtoniani Sam Woodyard alla percussione e Jimmy Hamilton al clarino con il flauto di Frank Wess, pilastro dell’orchestra del Conte.
Mood Indigo, qui in una incisione del 1930, è un brano di grande suggestione che ha accompagnato tutta la carriera di Ellington sin da quando i suoi Harlem Footwarmers calcavano il palco del Cotton Club di New York.
Don’t get around much anymore, Duke and Louis Armstrong. I due assoluti pesi massimi dal Jazz si incontrano nei primi anni ’60, e il risultato non è un duetto di maniera, ma una celebrazione della ammirazione reciproca.
I like the sunrise. Duke Ellington Liberian suite. Uscito su “Ellington Upton all’alba dell’era del Long Playing la canzone fa parte della più estesa “Liberian Suite”. Una canzone il cui testo, interpretato dalla voce baritonale di Al Hibbler, può essere interpretato in molti modi, dalla emozione dell’alba al risveglio e all’attesa di un mondo migliore, in ogni caso un capolavoro.
Chiudiamo la puntata con un brano del principale collaboratore di Ellington per le composizioni e gli arrangiamenti, Billy Strayhorn. Lush life, da John Coltrane and Johnny Hartman è secondo noi una delle più belle ballad mai composte -da Strayhorn a soli sedici anni, così si dice- e realizzate su disco, proprio in questa versione che testimonia, se mai ci fosse il bisogno, la grande attenzione e reverenza di tutto il mondo del Jazz per il genio di Ellington e per tutto il suo mondo, incluso naturalmente il braccio destro Strayhorn.
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