Coronavirus e informazione in Italia – intervista con Giacomo Mameli

«Il comportamento dei giornali a me non è piaciuto, perché anche davanti a una situazione di vera emergenza si è cercato comunque lo scoop e molte volte non si è rivelato vero. I giornalisti devono dare notizie. In situazioni difficili e complicate come queste bisogna evitare di fare uno scoop quando non si ha la certezza di ciò che si dice, perché si possono creare problemi giganteschi. Da giornalista, la mia priorità deve essere quella di informare bene la popolazione. […] Poi c’è una tendenza, che noi giornalisti abbiamo un po’ da sempre, che è quella di voler fare i tuttologi: occuparsi di calcio, di sanità, di filosofia o del ponte Morandi: dovrebbero invece capire che in questo momento la specializzazione è fondamentale.»

La cronaca dell’epidemia di coronavirus ha riportato a galla i problemi di un comparto che in Italia non gode di ottima salute: ma cosa significa fare giornalismo oggi? Quali conseguenze può generare un’informazione schiava della velocità e dello scoop a tutti i costi? A Extralive mattina, con Sergio Benoni e Giovanni Follesa, ne abbiamo discusso insieme a Giacomo Mameli, in collegamento dalla “quarantena verde” della sua casa di Perdasdefogu: «Siamo un po’ troppo malati di protagonismo. Ormai la televisione è piena dalla mattina alla sera delle stesse facce che dicono le stesse cose, molto spesso senza approfondire i temi… Il giornalismo è innanzitutto la verifica dei fatti, non ripetere i comunicati stampa che arrivano dai politici. Dobbiamo avere più responsabilità: se un politico dice “il problema del prezzo del latte lo risolviamo in 15 minuti” e noi lo spariamo a tutta pagina sui giornali e i pastori poi votano quel politico, e dopo due anni il prezzo del latte è lo stesso, diventiamo solo la cassa di risonanza di politici tromboni. Il giornalista deve essere innanzitutto un cane da guardia e abbaiare.»

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