«Padre padrone credo non sconti ancora oggi quell’accusa di lesa sardità che gli venne mossa nel 1977 quando il film uscì. Già da allora è un film che si è conquistato un posto nella cinematografia mondiale, diventando un caso, con la Palma d’Oro vinta a Cannes e il premio della critica internazionale che diede al film un valore che ancora oggi resiste nel tempo»
Con la proiezione di “Padre padrone”, capolavoro dei fratelli Taviani, si chiude mercoledì 22 febbraio la rassegna Cinemanifesti, mostra che ripercorre la storia del cinema sardo degli anni ’60 e ’70. Organizzata dalla Cineteca Sarda in collaborazione con il Consorzio Camù, la mostra propone una raccolta di manifesti dell’epoca accompagnati da una selezione di strumenti, attrezzature e macchinari legati al mondo del cinema. Ne abbiamo parlato all’interno di Extralive in compagnia di Antonello Zanda, direttore della Cineteca Sarda e con Sergio Naitza, regista e critico cinematografico: «I fratelli Taviani hanno realizzato un film che racconta una ribellione a un sistema immutabile, autoritario, di sottomissione, ma con la conquista della parola, della cultura. Questo cuore narrativo del film è diventato poi un valore universale che è andato ben oltre la Sardegna e la sardità. Quando il film uscì, l’errore fu vedere quel racconto in maniera quasi documentaristica, scambiandolo per un’immagine della Sardegna. […] Le aspre critiche che lo accompagnarono erano frutto malintesa interpretazione: Padre padrone non vuole essere un film sulla Sardegna, ma è una poetica fatta di sofferenza, di privazione e di riscatto con un valore universale. La verifica di questo valore è in un racconto di Gavino Ledda, che durante una proiezione del film, vide piangere i contadini argentini delle Pampas…»
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