«In Italia a scuola non si insegna teatro, mentre dovrebbe essere una materia d’insegnamento, anche perché accoglie tantissime materie come storia, geografia, letteratura, ma è soprattutto il modo per confrontarsi con sé stessi, confrontarsi con gli altri e avere la possibilità anche di completarsi. In America ci sono tantissime possibilità: si può ballare, si può cantare… a scuola intendo! Un percorso che fa crescere enormemente e anche umanamente è molto utile per un ragazzo che sta crescendo e si sta formando, soprattutto per chi, come me, è stato parecchio timido. […] Io ho iniziato a fare teatro in Sardegna ma poi ho preferito partire. Sono stato 9 anni a Roma, in Messico e in diverse parti d’Europa. Alla fine ho deciso di andare in Inghilterra. Alla fine degli anni ’90 mi sembrava che a Roma ci fosse una sorta di stagno, si lavoricchiava, non si facevano cose completamente interessanti. Mi piaceva l’idea di utilizzare l’inglese che parlavo già, e sono andato lì convinto di essere un fenomeno. Invece non era esattamente così… Ho dovuto rimettermi in gioco, ho lavorato per National Geographic, poi la produzione si è spostata a Roma, e io non volevo tornare a Roma e sono tornato in Sardegna. Non c’è stata la fanfara quando sono tornato qui, all’inizio ero un po’ disorientato. Ho avuto un momento di assestamento perché mi sembrava un ambiente un po’ provinciale, in cui ti giudicano molto per cose stupide come l’aspetto o l’orientamento sessuale. A Londra era l’esatto contrario e mi sono trovato un po’ male all’inizio, ma poi ho capito che c’erano tante bellissime cose e relazioni da creare e coltivare. Ora sono qui come base, e mi sposto quando è necessario.»
In compagnia di Gianluca Floris, con la regia di Pietro Medda, un ciclo di puntate dedicate al mondo delle arti, per capire dalla voce dei protagonisti cosa significa il mestiere dell’artista: l’ospite di questo appuntamento è l’attore e regista Simeone Latini.
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