
«Non aspettate di avere tanti soldi per girare un film. Cominciate con quello che avete, partite da una piccola idea, ma che vi bruci dentro».
Tizza Covi e Rainer Frimmel sono gli ospiti di questo speciale dedicato al Babel Film Festival, in corso a Cagliari, negli spazi dell’Exma. Artisti affermati a livello internazionale grazie a film come La pivellina, Mister Universo e Vera, Covi e Frimmel hanno raccontato ai nostri microfoni il loro modo di fare cinema: un approccio artigianale, profondamente umano, che parte dal documentario ma si apre alla messa in scena, fondendo realtà e narrazione: «Abbiamo iniziato con la fotografia documentaria, ma a un certo punto ci siamo accorti che non ci bastava più. Volevamo raccontare le storie di quelle persone, non solo mostrarne il volto». Il passaggio al cinema è stato naturale, ma senza mai rinunciare alla loro poetica visiva: lavorano quasi sempre da soli sul set, lei alla scrittura e al suono, lui alla macchina da presa, entrambi alla regia. Nessuna troupe ingombrante, solo loro due e gli attori – spesso non professionisti – con cui costruiscono un rapporto intimo e di fiducia. «In due si crea un’atmosfera diversa – racconta Frimmel – i protagonisti si sentono più liberi, meno osservati, e questo ci permette di andare più a fondo».
Un approccio che si riflette anche sul risultato finale: film che non spiegano tutto, che lasciano spazio all’immaginazione dello spettatore, che chiedono partecipazione: «Oggi il pubblico è spesso abituato a ricevere tutto pronto, ma un film resta nella memoria solo se ti chiede di pensarci, se ti lascia dei vuoti da riempire». Durante la masterclass al Babel, Covi e Frimmel hanno discusso proprio questo: come osservare il reale, come filtrarlo attraverso uno sguardo personale e restituirlo al pubblico. Un lavoro delicato, che parte dal rispetto per i soggetti e arriva alla responsabilità verso gli spettatori. «Il nostro cinema non cerca la perfezione, ma l’autenticità. E quando una storia arriva davvero da dentro, si sente».
Una scelta coerente con la loro estetica e con la decisione, non scontata, di girare ancora oggi in pellicola 16mm: «È un materiale vivo, con i suoi graffi, la sua grana, la sua imperfezione umana. È come la pelle: invecchia, respira, racconta». Ma dietro la scelta non c’è solo una questione stilistica: «Girare in pellicola ti costringe a una maggiore concentrazione. Hai dieci minuti per rullo, non puoi permetterti errori. E questo ti obbliga a pensare, a essere davvero presente».
Per la coppia italo-viennese, quella al Babel è stata anche l’occasione per scoprire Cagliari – «una città bellissima» – e gettare le basi per un futuro film ambientato in Sardegna. Nessuna anticipazione concreta, ma l’idea è nell’aria.
info e programma / babelfilmfestival.com
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