
«Il lavoro povero non è un destino. Bisogna contrastare la precarietà e difendere la cittadinanza: per questo è importante che le persone partecipino e si esprimano». Maria Grazia Gabrielli, segretaria generale della CGIL, è intervenuta ai microfoni di Un caffè a Radio X per raccontare le ragioni del referendum. L’obiettivo è chiaro: rimettere al centro i diritti, a partire dal lavoro.
Cinque i quesiti referendari su lavoro e cittadinanza promossi da sindacati e associazioni al centro della consultazione referendaria dell’8 e 9 giugno: due riguardano l’abolizione dei contratti a termine “usa e getta” e dei voucher, strumenti che – secondo la CGIL – alimentano un sistema fondato su precarietà e sfruttamento. «Chiediamo di abrogare strumenti che sono diventati strutturali nel nostro mercato del lavoro, in particolare per giovani e donne», ha spiegato Gabrielli, sottolineando come queste forme contrattuali temporanee siano ormai la norma per molte categorie, piuttosto che eccezioni.
Gli altri due quesiti puntano a ripristinare le tutele contro i licenziamenti illegittimi, erose nel corso degli ultimi anni: uno propone di eliminare le limitazioni al reintegro in caso di licenziamento economico ingiustificato; l’altro chiede l’abrogazione delle norme introdotte dal Jobs Act, che hanno ridotto il diritto al reintegro per i lavoratori assunti dopo il 2015. «Il reintegro non è un privilegio: è una garanzia di giustizia. Il licenziamento ingiusto deve poter essere contrastato con strumenti reali, non solo con un risarcimento economico».
Accanto ai referendum sul lavoro, una legge di iniziativa popolare per il riconoscimento della cittadinanza italiana ai figli e alle figlie di persone straniere nati o cresciuti in Italia. «È una questione che riguarda la democrazia e la convivenza. Non possiamo continuare a ignorare la realtà di centinaia di migliaia di ragazzi e ragazze che si sentono italiani, ma non lo sono per legge», ha sottolineato Gabrielli, ricordando che l’Italia è uno dei pochi Paesi europei in cui lo ius soli è ancora assente.
Una battaglia culturale, più che una semplice iniziativa referendaria: «Crediamo che sia il momento di rimettere in discussione scelte che hanno avuto un impatto devastante sul mondo del lavoro e sulla coesione sociale. Il referendum è uno strumento di partecipazione diretta, ma è anche un’occasione per dire che un altro modello di società è possibile. E che si può costruire a partire dai diritti».
ASCOLTA LA PUNTATA
Podcast: Download