Un caffè a Radio X con Gianni Campus: “Abbiamo bisogno di una nuova Cagliari, che respiri e si adatti alla vita di oggi”

“La città che abbiamo ereditato è diventata vecchia e non basta più, va fluidificata.”

Gianni Campus, architetto urbanista, già assessore e profondo conoscitore della città, è l’ospite di questa puntata di Un caffè a Radio X: ospite di Ilene Steingut, ci ha raccontato la sua storia, ricca di riflessioni sul passato, il presente e il futuro di Cagliari in una chiacchierata a cuore aperto che parte dalla memoria personale e approda a una visione lucida e articolata dell’evoluzione urbanistica e sociale della città.

Classe 1943, Campus è cresciuto nel quartiere di Castello in una Cagliari ancora segnata dal dopoguerra, ma piena di vita e speranza: “Eravamo tutti lì, c’erano tante persone, tanti ceti sociali, ma parlavamo lo stesso linguaggio. Questo senso dell’esserci era fortissimo, e tutti sapevamo che domani sarebbe stato certamente meglio. È questo spirito condiviso, che oggi manca alla città metropolitana, stretta tra transizione e transazione, dove alla mancanza di visione si sommano problemi di linguaggio e volontà”.

Dopo il liceo Dettori e una breve parentesi in Ingegneria a Cagliari, Giovanni Maria Campus, (così all’anagrafe) sceglie Firenze, dove trova un ambiente formativo e intellettuale completamente diverso: “In Ingegneria c’erano dei professori, in Architettura c’erano dei colleghi. C’era uno spirito di bottega rinascimentale, ci sentivamo allievi fin da subito.” Tra i suoi maestri, anche Umberto Eco: “Mi ha insegnato a pensare e ad agire in modo strutturato. Facevamo l’analisi del racconto, a partire da noi stessi. È stato determinante per il mio modo di vedere le cose.” L’esperienza fiorentina culmina con l’alluvione del 1966: “Ero lì, uno degli angeli del fango alla Biblioteca Nazionale. Non mi feci la doccia per dieci giorni, ma fu un’esperienza che cambiò la vita.”

Poi il ritorno a Cagliari. Iscrittosi all’Ordine degli Architetti, Campus diventa il numero 56: “Significa che dal 1923 al mio arrivo, c’erano stati solo 55 architetti iscritti. Questo dice molto su quanto poco strutturata fosse la nostra città da quel punto di vista.” Entra presto nella Commissione edilizia del Comune, un organo di cui difenderà sempre l’importanza: “Era un istituto che liberava i dirigenti da paure e pericoli. Io stesso, da assessore, ho preteso che fosse mantenuta.”

Durante la chiacchierata non poteva mancare una parentesi sul Favero e sul quartiere di Sant’Elia, emblema di scelte urbanistiche complesse: “Ci siamo trovati davanti a una responsabilità storica: c’erano cinque miliardi (di allora) per l’edilizia popolare e non potevamo permetterci di perderli. Era una logica politica, non solo tecnica. L’ho detto anche alla soprintendente: con opportuni accorgimenti, sì, lo rifarei.”

Ma oggi, secondo Campus, Cagliari deve affrontare una sfida diversa: quella della rigenerazione.

“La città del dopoguerra non è più nuova, è diventata vecchia. Serve fluidificarla. Abbiamo case di 150 metri quadri abitate da una sola persona, mentre giovani coppie con un figlio e un cane vivono fuori città e ogni giorno si riversano su Cagliari, provocando una crisi di mobilità. Serve un regolamento che consenta il frazionamento, è assurdo continuare a frenare ogni modifica.”

Fluidificare significa anche ripensare luoghi centrali come il mercato di San Benedetto: “È del 1957, costruito prima della legge ponte, senza parcheggi. Oggi sarebbe da abbassare, creare livelli, fare quattro o cinque piani sotterranei di parcheggi e permettere alle persone di accedervi comodamente. Dobbiamo adattare la città alle esigenze di oggi.”

E quando si parla di sogni nel cassetto, non ha dubbi: “Il mio resta quello che avevo vent’anni fa: realizzare il Betile. Non era solo un oggetto, ma uno strumento, un’idea. Doveva essere un segnale, un luogo capace di far desiderare la Sardegna a chiunque vi arrivasse.” Un’idea di apertura che per lui trova la sua sintesi nella visione di via Roma: “È una strada europea, affacciata sul Mediterraneo, e noi dobbiamo essere i custodi di questo rapporto.”

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