Inclusione e pari opportunità – Maria Grazia Zedda a Oltre le barriere

Cagliaritana, Senior Manager Pari Opportunità per “High Speed Two”, la ferrovia ad alta velocità più grande d’Europa in costruzione in Gran Bretagna, nel 2019 è entrata nella Top 100 influencer del Regno Unito per l’inclusione sulla disabilità: l’ospite di questa puntata di Oltre le barriere è Maria Grazia Zedda: con l’editore Il Maestrale ha recentemente pubblicato il suo primo romanzo: Il Fruscio Degli Eucalipti.

IL TESTO DELL’INTERVISTA

F: Andrea Ferrero

M: Andrea Mameli

Z: Maria Grazia Zedda

F: Ciao Maria Grazia. Ben tornata a Oltre le barriere. Ci eravamo già visti nel 2016 in un’altra puntata di Oltre le barriere. Ecco, rispetto al 2016 cosa è cambiato nella tua vita?
Z: Son cambiate tante cose nella mia vita. Sono andata a vivere a Londra, prima vivevo a Edimburgo e adesso non lavoro più come consulente: sono una manager per le pari opportunità e di tutte le diversità del personale a High Speed Two. Per spiegare cosa è High Speed Two: è l’azienda che sta costruendo la ferrovia ad alta velocità più grande d’Europa, che congiungerà Londra con tutto il resto del Paese.

M: Tu in questa realtà hai trovato una collocazione preziosissima della quale vorremmo approfondire in qualche modo il significato e il contenuto, cioè essere manager dell’inclusione e delle pari opportunità che significato ha oggi e che significato avrà in futuro anche per l’Italia.

Z: Dunque, il mio lavoro consiste nell’applicazione pratica dei principi legislativi che tutelano le categorie protette. Quindi io e il mio team ci dedichiamo all’inclusione pratica in modo che la legge dell’inclusione, che nel Regno Unito è l’Equality Act, che protegge le categorie di genere, di età, di paternità, di maternità, LGBTQ+, trans e altre categorie, tra cui la disabilità ovviamente, quindi il mio lavoro sta nell’analizzare il modo in cui le persone lavorano, le persone vengono assunte, le persone vengono integrate nell’azienda, anche come le persone lasciano l’azienda, in modo da analizzare tutte le barriere potenziali ed esistenti per poterle abbattere. Conoscere le barriere ci aiuta ad affrontarle.

F: Qui in Italia quando si parla di diversità si parla soprattutto di disabilità, mi è sembrato di capire che in Inghilterra invece vengono tutelate un po’ tutte le diversità.

Z: Assolutamente, tutte le diversità sono importanti e ugualmente protette. L’unica eccezione che esiste dal punto di vista legislativo nel Regno Unito riguarda la disabilità, perché la disabilità ha delle barriere molto pratiche. Mi spiego: spesso diciamo che la maggior parte delle barriere che le persone incontrano a livello, per esempio se una persona è gay, se una persona è trans, se una persona è andata in maternità o in paternità, se una persona sta diventando anziana, eccetera eccetera, la maggior parte del lavoro ruota, diciamo, intorno alla consapevolezza, alla presa di coscienza dei loro bisogni, del loro bisogno d’inclusione. Ci sono anche degli elementi pratici, tuttavia per la disabilità c’è un elemento molto più pratico che deve essere conosciuto bene e diciamo che ha uno specialismo perché l’inserimento delle persone disabili deve assolutamente includere un’esperienza, la conoscenza profonda delle barriere legate alle barriere architettoniche, alle barriere virtuali, sociali. E quindi la conoscenza di soluzioni ad hoc, individuali, per ogni individuo. Quindi è molto importante far capire che le diversità sono tutte tutelate in maniera paritaria, assolutamente egalitaria. Però per la disabilità bisogna tenere conto del fatto che ci sono delle applicazioni che sono molto pratiche e quindi comportano per esempio l’uso di fondi di finanziamento. Per esempio se vogliamo includere una persona con disabilità bisogna considerare dei costi da sostenere e che ci sono dei fondi che vengono messi a disposizione per affrontare le barriere. Comunque questi fondi possono essere usati anche per le altre categorie protette però chiaramente il livello di applicazione è diverso.

M: Voglio introdurre un nuovo argomento: il tuo libro, Il fruscio degli eucalipti, edizioni Il Maesrale, che hai scritto e hai presentato a Cagliari e altrove. Questo libro contiene una storia, come sai io l’ho letto e apprezzato molto, questa storia sembra un po’ la tua. Puoi raccontarci qualche spunto e che cosa ha rappresentato per te raccontare questa storia?

Z: Il fruscio degli eucalipti è un romanzo ispirato alla mia esperienza di aver lasciato la Sardegna da adolescente, essere andata a vivere a Londra, con la mia migliore amica. Ho affrontato tante avventure e viene definita una vita rocambolesca. Il primo impatto con gli elementi di esclusione sul lavoro. Diciamo che il romanzo parla di questa protagonista che non ha semplicemente delle barriere legate alla disabilità ma ha varie barriere legate al suo essere straniera, avere un forte accento italiano e sentirsi straniera all’estero, al suo essere donna in un ambiente lavorativo dominato dal maschile per esempio. Quindi racconta la storia di questa ragazza che compie un grande viaggio di crescita interiore e piano piano riesce, anche con il supporto e con l’aiuto di persone care e anche imparando da sola, riesce a raggiungere una certa autostima e a credere in sé stessa. Per me questa è stata una grande occasione per poter raccontare una storia nella quale si possano identificare tante persone. Perché per me era importante raccontare la storia di un’eroina che non è un’eroina, una persona come tutte le altre che è semplicemente voluta andare a fondo a capire le barriere che affrontava qualunque esse fossero, affrontarle e avere il coraggio di rialzarsi quando cade. Quindi è stata una bella opportunità. L’ho scritta tanto tempo fa, all’inizio non ho avuto tanti riscontri, è stato sempre un no sonoro che mi è stato dato perché certi tempo fa non erano molto conosciuti.

F: Forse un tempo e in parte anche oggi c’è una certa narrazione della disabilità, che non è una disabilità raccontata con la normalità. O si è eroi o si è sfigati. E quindi forse oggi le cose stanno cambiando, ecco perché il tuo libro è stato pubblicato.

Z: Le porte non le ho trovate aperte. Ho dovuto insistere, bussare… Diciamo di sì, alla fine una porta si è aperta. Finalmente ci sono state delle persone che hanno avuto la lungimiranza di capire che questo era un tema attuale, che non era un tema di nicchia. Non era sicuramente un tema d’ispirazione, ma semplicemente un tema che riguarda la vita di tanti giovani che lasciano le proprie famiglie e che affrontano con grande dolore la vita in un mondo sconosciuto, con tante barriere culturali, quindi penso che tantissime persone ci si possano ritrovare.

M: Secondo me è infatti una storia universale, una storia che potrebbe essere ambientata in qualsiasi contesto geografico e tu, tra Cagliari e Londra, l’hai resa ancora più forte. Penso che questo libro avrà grande successo.

Z: Me lo auguro. Per me sarebbe una cosa bellissima, un sogno. Per me era inevitabile, perché comunque anche avendo lasciato Cagliari e la Sardegna l’amore profondo per la propria terra rimane sempre. È sempre un’ancora. Quindi per me era un rendere omaggio agli affetti. È come parlare di una madre vera e di una madre terra, no?

F: Tu hai lasciato la Sardegna negli anni Novanta. Hai trovato qualche cambiamento, anche in relazione alla disabilità?
Z: Sicuramente ho trovato dei cambiamenti. E ho visto un pochino evolversi il linguaggio attorno alla disabilità. Però c’è comunque ancora un pochino di strada da fare. C’è ancora un pochino di presa di coscienza necessaria, soprattutto per come distinguiamo le persone disabili dalle altre. In realtà a volte, quando le persone si riferiscono alla mia sordità, pensano di farmi un complimento e mi dicono: ma tu sei normale. E io penso, è sì ma sono normale, assolutamente, è proprio così. La sordità, la disabilità, fanno parte dell’esperienza umana, da sempre. Non esiste la normalità. E quindi per me questo discorso di essere inclusivi perché siamo bravi, perché siamo buoni, perché abbiamo un pochino pietà di te e ti diamo una pacca sulla testa. No, noi siamo normali in principio.

F: Basaglia diceva: visto da vicino nessuno è normale.

Z: Bellissimo, sono assolutamente d’accordo. Chi è normale, ma cos’è la normalità?

F: La normalità rassicura le persone

Z: Assolutamente, sono d’accordissimo, è proprio una questione di sicurezza, sono d’accordo con te. Spesso appioppiamo delle etichette, perché le etichette ci consentono di metterci negli scaffalini, ci rassicura, ci offre un senso di ordine, quindi diciamo che spesso ci si rifugua in questo linguaggio. Usiamo il linguaggio per identificare le persone. Ma in realtà le persone e gli esseri umani sono molto più fluidi.

F: Anche in Inghilterra hai trovato questo atteggiamento che c’è in Italia?
Z: Sì, ho trovato atteggiamenti comunque anche lì di pietismo mascherato dietro la parola inclusione, per questo è molto importante distinguerlo. Ad esempio al lavoro, se mi stai includendo in un’azienda, non mi stai facendo un favore. Stai facendo il tuo dovere e stai guadagnando le mie capacità. E questo è molto importante, anche lì c’è tanta strada da fare. Tutto il mondo è paese.

F: Perché hai voluto scrivere il libro? Qual è stata la scintilla?

Z: A me è sempre piaciuto scrivere però a livello amatoriale. Però per me la parola scritta è molto importante perché come persona sorda non devo più acchiappare le parole, sono scritte, sono ferme lì. Per me la lettura e la scrittura sono un’ancora. Non devo fare tanta fatica ad ascoltare, a fare la lettura labiale. E quindi per me leggere e scrivere è un rifugio. Ho sempre avuto un grande desiderio di scrivere. C’è stato un momento della mia vita in cui ho avuto un lutto improvviso. Ho perso il mio papà che è mancato all’improvviso e questa cosa non l’ho affrontata tanto bene. Diciamo che mi distraevo tantissimo con il lavoro, le amicizie. Come dicono nel Regno Unito “Work Hard, Party Hard” e quindi non avevo affrontato per tanti anni questa cosa. Ma dopo che ci siamo trasferiti a San Francisco con mio marito ed eravamo soli, mi sono trovata ad affrontare questa mancanza che non sapevo colmare. Come sapete negli Stati Uniti non c’è l’assistenza sanitaria, quindi non ho potuto accedere all’assistenza, come immigrata, quindi ho avuto solamente l’opportunità di vedere una psicologa una volta e mi consigliò di scrivere per mettere a fuoco tutti i conflitti e le lotte interiori che provavo in quel momento. Quindi piano piano ho iniziato a scrivere a sfogarmi un po’ e dopo lo sfogo iniziale ha cominciato a piacermi di nuovo e ho ripreso l’amore per lo scrivere. Quella è stata la scintilla.

M: chi ha interesse a sapere qualcosa di più di Maria Grazia Zedda la può cercare sui social dove è sempre presente, ad esempio su Linkedin, e anche altrove si trovano molte cose interessanti intorno alla sua esperienza.

Z: Grazie!

F: Grazie per aver partecipato nuovamente a Oltre le barriere.

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